Pene d’amore #3

Torna l’appuntamento con la poesia, un pò in ritardo visto che il Sommo autore Fiore Cava era in bilico fra la vita e la dannazione eterna, combattendo con pericolosi bacilli. MA ORA E’ TORNATO.

Quindi, ecco un componimento fresco fresco, visto il caldo.

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Tra le Gorgoni

Con la testa tra le mani tue
ho deciso finiti amori prosperosi,
con tesoretti da consumare adagio
e denti non ancora stretti.
Tra le tue labbra un bacio:
bacio la lingua immonda
e le parole poche che mi risponde;
bacio il respiro splendido e lo trattengo,
ti adotto a polmone.
Pietre di spiaggia e fuochi di mare
son meraviglie se hai occhi per guardare.
Io con i tuoi specchiavo il mondo gorgone.
Immerso nelle tue lacrime,
ho conosciuto l’amore. Immenso.
In mezzo alle braccia sadiche
si alza il mio canto libero.
Non è l’urlo cinico di pensieri
sporchi tra le natiche.
Dissemino le gambe di lugubri risate
e calce viva getto nei tuoi umori.
Sarà pietra chi mi ha salvato
e rispedito tra le gorgoni.

 

Sperando che il Sommo non perisca di stenti e febbri, alla prossima!

Qualcuna volò sul nido del mio culo

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Qualche giorno fa chiacchieravo con amici in un gruppo Telegram, ad un certo punto la discussione ha preso, come spesso accade, una piega perversa ed abbiamo iniziato a ricordare ed a descrivere i peggiori e/o più divertenti appuntamenti sessuali che abbiamo avuto nella nostra vita. Io ne ho svariati, ma non ne ho mai parlato in questa sede. Mi hanno convinto a farlo, quindi eccoci qui, mi racconto un pò , descrivendo un incontro ravvicinato (non troppo, per fortuna) con qualcosa che non dimenticherò mai.

E insomma, anni fa suonavo in una band. Partecipammo ad un festival, tanti gruppi, tanto pubblico, tanto alcool. A fine concerto chiacchieravo con alcuni amici, ed una di questi amici aveva portato con sé una sua amica. Napoletana (bonus per l’accento napoletano, super sexy a mio avviso), mora, vestita di nero, rossetto nero, smalto nero. Insomma, la tipica darkettona. Una chiacchiera tira l’altra, una birra tira l’altra, finiamo quindi a casa sua.

Era una fuori sede (non studentessa, mi aveva detto che era a Roma per lavoro), condivideva quindi l’appartamento con altre coinquiline, ma quella sera l’appartamento era tutto per noi. Daje tutta, pensai appena entrato. Mi fece accomodare nel salone, sul divano. Mi offrì una birra, ed iniziammo a chiacchierare del più e del meno. Ad un certo punto pensai: “dai, ora basta chiacchierare, partiamo all’attacco” , ed iniziai ad avvicinarmi a lei, con intenzioni parecchio bellicose. Lei, capendo subito dove stavo andando a parare, mi bloccò subito dicendo “aspetta, voglio farti vedere una cosa, vieni in camera“. Me lo disse con fare ammiccante e divertito, quindi la seguii con piacere, curioso di cosa volesse farmi vedere e gongolando a cazzo già mezzo dritto.

La sua era una camera singola, arredata con gusto, ma un scura. Vabe, cosa potevo aspettarmi da una goth girl se non merletti, drappi e tonalità super allegre come il nero, il bordeaux ed il rosso scuro? Un particolare però attirò la mia attenzione, ovvero un armadio a due ante, con tanto di lucchetto, con la scritta KINK incisa nel legno.

Lei, sicura, prende le chiavi del lucchetto da un cassetto, e lo apre davanti a me. Appena lo aprì, sgranai gli occhi.

Cazzo, sembrava uno dei film di Saw l’Enigmista. Possedeva ogni sorta di attrezzo per il BDSM (pratica all’epoca a me ancora del tutto oscura, se non per qualche porno guardato di sfuggita per pura curiosità o per racconti di alcuni amici dentro al ” giro” ) . Palette di varie fogge per lo spanking, gagball, manette, vibratori giganteschi, corpetti di LaTeX, maschere, collari e guinzagli, più altri oggetti di cui ignoravo completamente il loro possibile utilizzo su un essere umano consenziente.

Dentro l’armadio inoltre c’era una piccola cassettiera, dalla quale tirò fuori un paio di candele, ovviamente nere. “Spogliati”, mi disse. Lo disse in maniera tranquilla e sicura, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Non avevo mai provato nulla del genere, quindi acconsentii a provare quel ” trattamento“.

Mi stesi sul letto, nudo, a pancia in giù, seguendo le sue indicazioni. Mentre accendeva le candele, mi spiegò che il suo lavoro era quello: era una mistress professionista, di quelle che camminano sulle palle di manager, professionisti e persone di potere, che nella vita decidono e comandano, ma che nel privato hanno invece solo bisogno di spegnere il cervello e di avere qualcuno che dica loro cosa fare, come farlo e quando. Insomma, slave assoluti al servizio della loro padrona, ovvero lei.

Non mi sentivo affatto uno slave, né in quel momento né nella vita, tuttavia lei mi disse che le piacevo e che voleva farmi provare qualche “gioco“. Ed io mi dissi ” vabè sticazzi, proviamo, tanto cosa mai potrà farmi di doloroso“. Le ultime parole famose.

La cera bollente faceva male, ma era un dolore sopportabile, quasi piacevole dopo qualche minuto, tipo quando ti tatui: il corpo dopo un poco si abitua al dolore e di conseguenza la soglia aumenta permettendoti di resistere sempre più. Lei continuava, in religioso silenzio. Con movimenti quasi a tempo, piegava la candela, facendo cadere la cera sulla mia schiena, poi sul culo, poi sulle gambe, infine sui piedi. Nei momenti nei quali lei vedeva che soffrivo un po di più, si soffermava in quel punto per farmene provare di più. Cazzo se sei stronza.

Bene, ora passiamo ad altro”, mi disse, compiaciuta. ” lo avevi mai fatto?” mi chiese. Io le risposi di no, dicendole che comunque mi sentivo a mio agio e la cosa mi stava divertendo. Non l’avessi mai detto! “Divertendo” non era proprio la parola che lei voleva sentire. Quello per lei non era affatto divertimento. Era dovere, possesso, dominazione. Ma con me non stava funzionando, almeno non con le candele.

Si avvicinò all’armadio, riponendo in modo quasi stizzito le candele, ormai consumate quasi del tutto. Le davo le spalle, non vedevo quindi cosa stesse prendendo. Col senno di poi avrei dovuto girarmi. Sentii un rumore di ferraglia, lei che si avvicinava nuovamente e che mi diceva: “Ora vediamo se ti diverti ancora” . Non ebbi il tempo di guardare cosa avesse in mano che sentii un schiocco secco sulle mie piccole e delicatissime natiche. La stronza mi aveva appena sculacciato con una paletta! Rimasi interdetto per qualche secondo, ma poi la mia mente al tempo ancora goliardica e decisamente meno “perversa” di ora decise di seguire una strada che si era già dimostrata sbagliatissima: iniziai a sorridere. Non so perché, mi venne da sorridere, come se quella botta anzichè farmi male mi avesse fatto il solletico. Lei iniziò ad infuriarsi davvero, e mi colpì nuovamente. Ed io iniziai a ridere ancora più forte, ma continuai a farmi sculacciare, mentre i colpi della paletta si alternavano sulle mie chiappette, che immaginavo di un colore tendente al viola acceso.

Non ricordo precisamente cosa mi disse in quei momenti, ma presumo fosse un mix tra “CHE CAZZO HAI DA RIDERE” e “ZITTO E SOFFRI”. Insomma, ricordo solo che non fosse contenta di quello che stava succedendo.

Lanciando la paletta con forza dentro l’armadio, si diresse in cucina. La vidi tornare dopo qualche secondo con un cucchiaio di legno in mano. Voleva usare anche quello per sculacciarmi, o per altri utilizzi che non potevo, né volevo, immaginare. Vedendo il cucchiaio (aka LA CUCCHIARA) esplosi in una fragorosa risata, non riuscivo veramente a capire come avrebbe potuto farmi male con quell’oggettino di legno. Dai suoi occhi, dopo qualche secondo capii che non voleva usarlo per lo spanking. Lo impugnava, infatti, dalla parte sbagliata, e non dal manico.

La situazione iniziava a diventare troppo estrema per i miei gusti, ma decisi di stare al gioco spingendo la posta al rialzo. -“Scusa, che dovrei farci con quella cosina?” Dissi, con fare sprezzante. Lei rimase spiazzata dalla mia domanda, leggendoci sincerità e nessun tipo di presa in giro. Rimase quindi in piedi, vicino all’ingresso della cucina, riflettendo sul da farsi. Forse pensava a qualcosa di più grosso, di più imponente, o altri oggetti per incatenarmi, zittirmi, indurmi ad essere “suo“. Cosa che, ovviamente, non avevo alcuna intenzione di lasciarle fare.

Si mosse, tornando in cucina. Sparì dal mio campo visivo per qualche secondo. Tornò poi, apparentemente, a mani vuote. Vedevo che però nella mano sinistra stringeva qualcosa, ma la mano era chiusa quindi non capivo cosa fosse.

Pensavo a qualcosa di classico, ma a te devo tenerti a bada in maniera speciale, brutto stronzo”. Me lo disse con occhi glaciali, ma con un impercettibile sorriso, quasi sadico. “Sono pronto” , le risposi.

Aprì la mano. Automaticamente, mi misi a sedere nell’arco di un nanosecondo, osservando cosa aveva in mano. Era una FOTTUTA RIPRODUZIONE IN METALLO DELLA TORRE EIFFEL. Cioè capite? Voleva entrare nel retro della mia persona con quella CAZZO DI TORRE EIFFEL DI FERRO. MA SCHERZIAMO???

La guardai serissimo, dicendole -“No aspè, aspè. Tu vorresti infilarmi quella Torre Eiffel nel culo? Ma sei seria?” . Lei, con una invidiabile calma, rispose: -“Certo. A mali estremi, estremi rimedi”. 

A quel punto, capii che la strana serata volgeva al termine. Mi alzai dal letto, ringraziandola per l’esperienza ma dicendole anche che non facevano per me certe pratiche estreme. Mentre mi rivestivo, lei riacquistò la calma, uscendo dal suo “personaggio” e riprendendo i panni di una normale, giovane donna che aveva invitato un ragazzo a casa conosciuto ad un concerto. Nonostante tutto, rimanemmo a chiacchierare ancora un’oretta. Vedemmo qualche video su Youtube delle band che piacevano ad entrambi, bevemmo un’ultima birra e ci scambiammo il numero, “magari ci si vede per una birra in tranquillità“.

La birra insieme, ovviamente, non ci fu mai. Io non la richiamai, né tanto meno lei. Fu la mia prima esperienza (strana, ma pur sempre un’esperienza è stata) con il mondo BDSM, universo che tutt’ora mi affascina e di cui devo ancora imparare il pieno potenziale. Come tutte le cose, alcune pratiche mi piacciono moltissimo, altre meno, altre le trovo assolutamente non eccitanti o che non fanno assolutamente per me.

Detto questo, riflettevo sul fatto che probabilmente scriverò altre storie che riguardano me, datemi quindi una mano a trovare un nome per questa ennesima rubrica. Chi vince è autorizzato/a a schiaffeggiarmi il culo!

E vi prego, tenete lontana da me la torre Eiffel, ne ho fobia da allora!

 

 

Pene d’amore #2

Ho deciso che la rubrica dedicata alle poesie del buon Fiore Cava si chiamerà Pene d’amore. Simpatico eh?
Ok, ma bando alle ciance. Oggi poesia #2:

La festa nell’armadio

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Sorgente viscosa, tu,
sussulti ritmicamente.
Estuario della mia mente
fionda a testa in giù.
Sciogli le briglie
e distesa nei muscoli
attendi meraviglie.
Mi attendi, accogli
e tiri su i moccoli
di svaniti cordogli.

L’armadio è un cretino!
Ti tiene dritta
e non ti palpa.
Ma aperta un’anta
ci dona uno specchio
e due compagni di giochi;
ne sembra uno solo
con tanti arti.

Ed una testa
ha l’orecchino
di perla uguale al tuo,
all’orecchio sbagliato.
Ringrazia quello
se la tua attesa
ad ogni appello
diventa festa.

anche il Cazzo è romantico

Questo blog si evolve alla velocità della luce, ecco perché da oggi, inseriamo un’altra novità, questa volta più “romantica” : ogni settimana, una poesia un pò d’amore, un pò no, un pop-porno, un pò del Cazzo, scritta dal mio giovane ma promettente amico Fiore Cava .
Non so ancora come chiamare questa rubrica, avete per caso qualche idea? Aiutatemi!

Comunque, ecco qui il primo di Fiore componimento, spero sia di vostro gradimento (avete notato la rima sì? eheheheheh ).

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Mi hai baciato o sbaglio?

Mi hai baciato o sbaglio?
Vorrei possedere i ricordi.
Vorrei foto tue, e tue e mie
come non ne scattavamo.
Noi due, presi a scartarci,
che avremmo scattato?
Ci vuole mano ferma;
con te come pretendi
si fermi una mano?
Ci vuole un occhio
clinico da artista,
non da fruitore
della tua arte
ondeggiante.
Vorrei possedere te:
la tua gola.
La mia estensione
sarà un
pomo d’Adamo nervoso
dopo
esborsi eccessivi di Domenica:
me.